RECENTI SENTENZE IN TEMA DI “PROFITTO” DEL REATO

RECENTI SENTENZE IN TEMA DI “PROFITTO” DEL REATO

by DMB Studio Associato

In tema di D.Lgs. 231 il 2018 inizia alla grande, e la giurisprudenza in tema di “profitto” del reato segna due posizioni finalmente chiarificatrici: la prima con la sentenza del 9 gennaio 2018 (ud. 5 ottobre 2017) n. 295 – sentenza della Corte di Cassazione – sezione II penale, e la seconda con la sentenza 16 gennaio 2018 (ud. 14 settembre 2017) n. 1754 – della Corte di Cassazione – sezione VI penale. Con la prima sentenza i due criteri d’imputazione dell’interesse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività, come confermato dalla congiunzione disgiuntiva “o”, presente nel testo della disposizione. Il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo in relazione all’elemento psicologico della specifica persona fisica autore dell’illecito. Il criterio del vantaggio ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito ed indipendentemente dalla finalizzazione originaria del reato. L’accertamento di un esclusivo interesse dell’autore del reato o di terzi alla sua consumazione impedisce di chiamare l’ente a rispondere dell’illecito amministrativo ma ciò non significa che il criterio del vantaggio perda automaticamente di significato. Ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente è sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non è stato possibile determinare l’effettivo interesse vantato ex ante alla consumazione dell’illecito e purché non sia contestualmente stato accertato che quest’ultimo sia stato commesso nell’esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi. La nozione di interesse accolta nel primo comma dell’art. 5 del d.lgs. 231/2001 ha una dimensione non propriamente od esclusivamente soggettiva che determinerebbe una deriva psicologica nell’accertamento della fattispecie. La legge non richiede necessariamente che l’autore del reato abbia voluto perseguire l’interesse dell’ente perché sia configurabile la responsabilità di quest’ultimo ne’ è richiesto che lo stesso sia stato anche solo consapevole di realizzare tale interesse attraverso la propria condotta. L’interesse dell’autore del reato può coincidere con quello dell’ente (rectius: la volontà dell’agente può essere quella di conseguire l’interesse dell’ente) ma la responsabilità dello stesso sussiste anche quando, perseguendo il proprio autonomo interesse, l’agente obiettivamente realizzi (rectius: la sua condotta illecita appaia ex ante in grado di realizzare, giacché rimane irrilevante che lo stesso effettivamente venga conseguito) anche quello dell’ente. Perché possa ascriversi all’ente la responsabilità per il reato è sufficiente che la condotta dell’autore di quest’ultimo tenda oggettivamente e concretamente a realizzare, nella prospettiva del soggetto collettivo, anche l’interesse del medesimo. L’interesse esclusivo dell’agente che ha commesso il reato presupposto va individuato nei fatti illeciti posti in essere nel loro interesse esclusivo, per un fine personalissimo o di terzi ovverosia con condotte estranee alla politica di impresa. Le condotte dell’agente poste in essere nell’interesse dell’ente sono quelle che rientrano nella politica societaria ossia tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria. Con la seconda sentenza viene sancito il principio in base al quale il profitto del reato deve comunque “corrispondere a un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale del suo beneficiario, ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o l’acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica. Non costituisce profitto del reato un qualsivoglia vantaggio che, pur derivante dal reato, tuttavia sia futuro, sperato, eventuale, solo possibile, immateriale o non ancora materializzato in termini strettamente economico-patrimoniali. il profitto non coincide con una mera aspettativa di fatto, con una mera “chance”, salvo che questa, in quanto fondata su circostanze specifiche, non presenti caratteri di concretezza ed effettività tale da costituire essa stessa una entità patrimoniale a sé stante, autonoma, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione in relazione alla sua proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto – la mera possibilità per la società di partecipare in futuro a gare di appalto o di essere inserita negli elenchi dei soggetti contrattisti non costituisce un vantaggio concreto valutabile in relazione alla sfera patrimoniale del soggetto e nemmeno una “chance” autonomamente qualificabile in termini di entità patrimoniale automa e quindi di profitto. (Fonte Rivista 231)